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Carciofi alla giudia

  • Immagine del redattore: Pompeo Martino
    Pompeo Martino
  • 27 apr 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Il titolo potrebbe richiamare ad una ricetta ma non lo è. Si tratta di una serie di racconti che fa parte della raccolta “il primo idiota che passa”. Sono quelli che ho rinominato i “Necrologi ironici” e nella raccolta ce ne sono 7. Sono storie brevi, che raccontano in un sunto gli sguardi, o i portamenti di persone che ho incontrato duranti i miei viaggi. Ovviamente romanzati ed ogni riferimento al reale è sicuramente frutto di una forte osservazione, quindi casuale.



Tutti lo conoscevano come Er Cicoria. Mario Ernesto De Angelis, anche detto Er Cicoria, era un buon uomo e lo dicevano tutti in giro, questo anche prima della sua prematura dipartita. Era perlopiù cresciuto in solitudine, privo di padre da prima della nascita e con una madre altalenante, il lunedì c’era, il martedì poteva non esserci, il mercoledì dipendeva invece dal clima. Abitava come noialtri nel quartiere Pigneto, e da ragazzi si frequentava insieme l’oratorio. Era un bambino che con i piedi ci sapeva fare, ma soprattutto era bravo con le mani. Un giorno, intorno ai 7 anni, era stato l’unico ad avere il coraggio di scavalcare un grande muro, dietro al quale era finito il pallone bucato, e lì aveva conosciuto Umberto De Luca, il vecchio più ricco e burbero di tutto il quartiere. Se l’era cavata, Mario, con una ramanzina d’altri tempi ed un paio di sculaccioni. Si vede che questi rimproveri erano quello che cercava, perché nella casa del De Luca ci tornò da solo anche senza la scusa del pallone, e si fece amico quell’anziano con la cataratta. Molti lo ricordano che ci prendeva il caffè assieme, non tutti i pomeriggi ma quasi, e spesso non dipendeva dal clima. Quando il De Luca morì, Mario Ernesto aveva solo 12 anni, ma si ritrovò con un’eredità che avrebbe fatto perdere la testa a chiunque. A chiunque eccetto che a lui. Il De Luca gli lasciò anche la casa, e quello ci trasferì la mamma e tutti i quattro stracci che possedevano. Al De Angelis piaceva lavorare l’orto e ne ebbe l’occasione. Da quel momento tutti iniziarono a chiamarlo Er Cicoria. Non era strano che la gente del quartiere gli gridasse “Ah Cicoria!” e lui sorridesse sornione, perché un po’, anche se non lo diceva affatto, quel soprannome gli piaceva da matti. Quando rimase solo e senza voglia di lavorare aveva da poco raggiunto la maggiore età, ma si mise in testa di coltivare per tutto il Pigneto, e lo fece senza sforzi. Ricavava quel poco che gli serviva da vivere vendendo i prodotti del suo orticello ai fruttivendoli della borgata. Le piccole trattorie gli regalavano la cena, il bar gli regalava le colazioni e la Caritas i vestiti. Se chiedete in giro potete scoprire che non ne utilizzava molti. Aveva sviluppato e coltivato in giovane e meno giovane età, una strana passione verso il Che Guevara, e portava sempre una felpa che raffigurava il suo eroe di altri mondi, spesso gridando “Hasta la Vittoria!” aspettando che qualcuno, magari di quelli che lo consideravano pazzo, rispondesse “Siempre”. Era facile trovarlo la mattina che girava con una vecchia Bianchi da strada color turchese mentre si portava sulle spalle le buste dell’orto e faceva il giro di tutti i banchetti del mercatino rionale. La sera invece la passava tra via Fanfulla da Lodi, e via del Mandrione, dove c’erano i suoi locali notturni preferiti. Amava la musica come pochi al mondo, soprattutto perché non era in grado di farla, e questo lo rattristava moltissimo. Pensate che smacco per noi, amici suoi d’infanzia e che lo si è visto crescere tra frutta e verdura, saperlo morto per non aver saputo come districarsi da una foglia di Carciofo alla Giudìa che glie era rimasta di traverso. Al funerale tutti lo ricordarono come un buon uomo, e lo era anche prima della sua prematura dipartita.

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