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Laura - S01e01 - La Sosta Vietata

  • Immagine del redattore: Pompeo Martino
    Pompeo Martino
  • 30 apr 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 6 mag 2020



Non ti eri mai interrogata su quante cose ti dessero fastidio nel mondo. Forse quella faceva parte di quelle che ti portavano a odiare definitivamente la società.

Quella mattina non avevi niente di niente da fare, te ne stavi appoggiata a una colonna di marmo sporco e brutto, nonostante la tua germofobia. La sigaretta in bocca ed il pensiero sempre alla scrivania che ti aspettava appena finita la pausa. Di tanto in tanto la distrazione ti faceva cadere gli occhi sullo schermo del cellulare e sull’assenza delle notifiche.

Erano giorni che, da acuta osservatrice della pausa sigaretta, guardavi oltre la sbarra che divideva il parcheggio dall’area destinata ai lavoratori dell’ufficio. Al di là di quell’alt, un’auto bianca, sempre la stessa, posteggiata nel posto riservato ai disabili, dalla quale, anche sotto tortura avresti giurato di aver visto qualcuno completamente abile uscire.

Quella mattina, invece, quella sosta vietata ti infastidiva più del normale.

Forse ti eri svegliata male, forse avevi dormito peggio, forse la tua relazione che andava lentamente verso una fine preannunciata o forse il fatto che il caffè nella macchinetta era finito, ti avevano condizionato molto.

Allora, avanzando senza occhiali da sole, verso il parcheggio, ti dicesti di voler essere una moderna Wonder Woman, senza costume né lazo o stivaloni alti ma con gli stessi dannati sani princìpi.

Ti accostati al parabrezza dell’auto. Non ti sconvolse molto il non trovare nessun tagliando per disabili sul cruscotto.

-Ma che incivile del cazzo! - fu la prima frase che ti attraversò lo sguardo, che lentamente indugiava verso i sedili -Sei il cancro della società, tu e la tua stupida pretesa di voler fregare il mondo intero. – Sbuffasti sonoramente anche se nei dintorni non c’era nessuno a poterti sentire o vedere.

Pensasti che lo stesso atteggiamento ce lo aveva Carlo, il tuo ragazzo, lo stesso identico atteggiamento a paladino del crimine popolare.

Lui mai nella vita aveva fatto un parcheggio come si conveniva. Quando trovava posto a spina di pesce metteva l’auto dritta, e quando era regolare la metteva come fosse il pescatore del più grande storione del lago. Non mancavi mai di rammentarglielo con dei sani bronci prolungati, ma lui con il solito sorriso, che anche in quel momento ti si parava davanti come una visione demoniaca riflesso nel finestrino, ti faceva spallucce, fregandosene di te e di tutto il resto del mondo. Era una di quelle persone che pensava di poter sconfiggere tutte le ingiustizie con le ingiustizie stesse, a patto che le seconde andassero a migliorare di un pizzico la sua condizione di solitudine cosmica, in un mondo di truffatori, a detta sua, chi truffa meglio è migliore in assoluto. Un uomo che si considerava solo contro un mondo che lo amava incondizionatamente. E questo non gli andava a genio nella sua mente da ribelle di quartiere.

Niente in quel momento ti dava noia come quel parcheggio.

Nemmeno la mancanza di caffeina.

Nemmeno il pensiero di un Carlo che ti aspettava a casa con le valigie pronte per andarsene via verso qualcuno o qualcosa di migliore di te.

Nemmeno la fine della sigaretta ed il lieve richiamo del tuo capoufficio dalla finestra.

Guardasti il tuo superiore sbracciare per un po’. Gli piantasti gli occhi docili addosso. Lui sbraccio nella tua direzione e si incamminò nel corridoio lungo, oltre le vetrate per abbandonarti di nuovo da sola con i tuoi demoni.

Il tuo sguardo si posò distratto sul sedile al lato passeggero. Adagiata sopra una borsa costosa.

-Ah! sei anche ricca. - Pensasti arrossendo di una rabbia lungamente repressa. - Certo, i ricchi possiedono il mondo, mica come noi poveri lavoratori a tempo determinato!

Ti salì un odio incontrollabile. Nemmeno facesti in tempo a chinarti che già in mano avevi un sasso. Non ci pensasti due volte per non cadere nella tentazione di non sfogarti. Il cristallo si frantumò in minuscoli pezzettini, il tuo palmo lasciò il sasso e poche lacrime di sangue per afferrare la borsa. In pieno giorno, in un parcheggio proprio sulla strada principale. In un attimo eri di nuovo oltre la sbarra nel piazzale degli uffici, china sulla stessa colonna di marmo infestato da germi. In ginocchio, nascosta dalla luce di un sole accecante celato da nuvole apristi la borsa.

Gli occhi ti di gonfiarono di lacrime impreviste.

Il tagliando per disabili era rimasto nella borsa, e non sul cruscotto.

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